Condizioni abitative di inizio 800

Da ricerche di Francesco Torchia
 

 

 Le condizioni di vita e di salute della popolazione erano al limite della sopravvivenza. Il paese aveva strade non lastricate, anguste e fangose, con acque stagnanti e cloache scoperte; letame e immondizie, oltre alle carcasse di animali che morti erano sparse da per tutto e richiamavano numerosi cani randagi, spesso idrofobi e maiali affamati. Le sepolture, mal tenute nella Chiesa Madre, in quella di S. Giuseppe e nelle aree limitrofe mandavano miasmi che appestavano l'aria; tutto ciò rendeva ancora più insalubre l'ambiente con grave danno per la salute. La pulizia delle strade veniva affidata alla pioggia del cielo ed in sua assenza alla voracità degli animali che in abbondanza ed incustoditi circolavano lungo le strade. Le casupole in cui viveva gran parte della popolazione erano anguste, umide, non ventilate, costruite in pietra e terra, con il tetto di tavole ricoperto di tegole con il focolare, senza cacciafumo, posto in un angolo. Per lo più prive di finestre, prendevano luce dalla porta, che si apriva direttamente sulla strada; di sera il bagliore del fuoco rischiarava l'ambiente, solo talvolta, si faceva uso di lucerne ad olio. Nell'unico vano, dove erano sistemati i letti realizzati con sacconi (materasssi di stoppa o di cartocci di granturco o di paglia), venivano conservati non solo i prodotti della terra ma ricoverati anche gli animali (maiali, polli, asini), in una tale promiscuità che qualsiasi norma d'igiene veniva disattesa. Dall’esame del catasto del 1809 per quanto attiene ai fabbricati emerge il dato di 403 fabbricati di cui 74 basso ossia “catoio” e 14 trappeti. I fabbricati rurali di San Mango presentavano caratteri tipologici prettamente riscontrabili nell’architettura della zona. Tali fabbricati si strutturavano prevalentemente come dimora unitaria e che sotto lo stesso tetto accorpavano le funzioni residenziale e produttiva. La casa della famiglia contadina rappresentava quindi la sede di una piccola azienda agricola in cui gli spazi venivano pensati ed organizzati in funzione della necessità imposta dalle attività agricole. In diverse zone dell’abitato restano ancora numerose testimonianze di queste casupole rurali unitarie, che hanno conservato le loro caratteristiche funzionali ed anche architettoniche tradizionali e che consentono di decifrarne il tipo edilizio. Veniamo ad esaminare in dettaglio le caratteristiche essenziali di una unità immobiliare tipo, così come molto verosimilmente era nei primi dell’ottocento e corrispondenti ad una delle categorie 9°, 8°, 7°, 6° e 5° che complessivamente, nelle rivele del catasto provvisorio, rappresentavano il 96% dell’intero patrimonio edilizio. Il resto delle case ne comprendeva  una di 1°, due di 2°, 6 di 3° e 3 di 4° categoria ed i cui palazzi rimangono ancora oggi a testimonianza delle antiche agiatezze. E forse non siamo lontani dal vero nel ricordare che tali palazzi al giorno d’oggi si ricordano come palazzi Amelio (Torquato), Ferrari (De medici), Bonacci-Mendicino (Moraca), Ex Casa del fascio (Puteri), Casa Berardelli (Berardelli), Casa Sacchi (dr. Sacco); Nel rione Carpanzanese, su un totale di 47 unità immobiliari, 18 di queste, quasi il 50%, era censito come Basso o catoio. Giuseppe Antonio Ferrari nei suoi scritti ci ricorda che “i primi abitatori ed i successivi erano nella maggior parte pastori di animali cornuti, e di più ogni bassa famiglia nella maggior parte tiene ed ha tenuto una porca, una pecora appresso l’asina per l’industria familiare.” Tali animali dovevano trovare necessariamnte ricovero in qualche tugurio dell’abitato e la presenza di ben 74 bassi nell’abitato rafforza l’assunto del Ferrari. Preponderante era il raggruppamento lineare di più costruzioni che determinano la tipologia della casa in linea, in cui i vani, di forma in genere rettangolare di mt. 4,50x5,00, sono affiancati l’uno all’altro in successione e con l’affacciata principale prospettante verso la vallata del Savuto e con il lato opposto interrato. Le murature erano accostate o più semplicemente in comune. Il tetto continuo ad unica falda inclinata del 20-25% circa, con il colmo parallelo alle curve di livello del terreno. Rare erano le disposizioni a gradini, in cui il colmo è posto parallelamente alla linea di massima pendenza. Di questa particolare tipologia edilizia in esame vi sono ancora visibili testimonianze nel Rione Casale Sottano, S. Giuseppe, Chiesa, Piano, Serra. L’impianto distributivo della tipologia edilizia era strutturato su due o tre livelli. La porta di ingresso al piano terreno dava sull’esterno e non di rado, qualora le famiglie utilizzavano il catoio a destinazione pertinenziale dell’unità abitativa, l’accesso al primo piano era assicurato da scale esterne in muratura che poggiavano sulla facciata principale degli edifici e disposte frontalmente ad essa e con parapetto di protezione alto circa 60 cm ed il cui ballatoio si utilizzava anche per effettuarvi lavori domestici manuali oltre che per il quotidiano riposo al ritorno dal lavoro. Nel sottoscala si ricavava un modesto spazio con ingresso appena sufficiente e con una apertura laterale di circa 20 cm e con destinazione di ricovero di animali domestici quali polli, conigli, ecc.ecc. Le porte erano ad una o due mezzine. Queste talvolta e qualora il piano terra veniva utilizzato ad uso residenziale, venivano realizzate a mezza porta con la porta divisa a metà in modo da consentirne l’utilizzo a finestra per l’entrata nell’ambiente dell’aria e della luce in altri casi la mezza porta era costituita da un’aggiunta esterna all’anta principale di una mezza porta. Premesso che al piano terreno (catoio) i vani erano destinati a stalla o a cantina, si potevano riscontrare sul territorio diverse combinazioni di disposizione distributiva delle unità immobiliari. Il collegamento tra gli ambienti interni dei fabbricati avveniva per mezzo di scala a pioli ed al piano di arrivo era posto il “cateratto” che serviva a coprire lo spazio di ingombro oltre che ad aumentare la superficie utile del vano. Dal punto di vista strutturale, le tipologie edilizie descritte si caratterizzavano per il preponderante impiego di materiali di approvvigionamento locale, pietra e legno. I pedamenti erano alquanto scarni e talvolta, quando lo scavo si presentava difficoltoso per il rinvenimento di sassi indistruttibili, poggiavano direttamente sui massi. In S. Giuseppe, Zona Castagnari e via Serra numerosi fabbricati poggiano direttamente sulle pietre emergenti dal terreno. Le strutture verticali venivano interamente realizzate in pietrame a spacco o di risulta del setto, oppure provenienti dalla cava naturale posta in località spinito oppure, ma raramente, mediante impiego del pietrame raccolto nel greto del Casale. Al posto della sabbia per l’impasto veniva utilizzata la terra argillosa. Questa unita alla calce prodotta nelle “calcare” del luogo costituiva il legante per la realizzazione delle murature. Il terreno argilloso mescolato a ciotolame vario, trovava impiego anche nelle operazioni di riempimento della cassa del muro quando le dimensioni di questo superavano il metro di spessore. Gli architravi (supraporte) venivano realizzati sopratutto in legname di castagno. Non di rado si riscontrano anche architravi a tutto esto e con i conci in pietra di spacco. Il legno a differenza della pietra, possedendo una elevata resistenza alle sollecitazioni di flessione veniva particolarmente impiegato per le strutture orizzontali. I solai venivano realizzati in tavole di legno appoggiate su travi di legno innestate nella muratura portante. Sulle tavole veniva sparso un leggero strato di ciottolame di sezione ridotta al fine di chiudere tutti gli interstizi. Il piano finito o lastrico veniva effettuato a mezzo dello spandimento di terreno argilloso. Al piano terreno il lastrico veniva realizzato con pietre da spacco poste di piano. Il solaio dell’ultimo ambiente abitativo (il tavolato o soffitto) talvolta veniva realizzato solo con tavole di castagno poggiate sulle travi di legno poste ad interasse di circa 90 cm. Tale ambiente era munito di due aperture verso l’esterno a forma di ellisse e nella maggior parte dei fabbricati era utilizzato a cucina con il focolare senza camino posto nell’angolo della parete più alta che serviva da riscaldamento per l’unità abitativa. L’orditura del tetto era composta da travi in legno disposti in parallelo rispetto alla linea di colmo e ad interesse di circa 1 mt. L’orditura secondaria era costituita da singoli puntoni diritti (sciguni) disposti perpendicolarmente alle travi portanti. Il manto veniva realizzato in tegole curve prodotte dalle maestranze locali. Il tavolato era l’ambiente ideale per la esposizione all’aria dei prodotti alimentari a lunga conservazione. Per evitare pericolose intromissioni di persone all’interno dei fabbricati, le porte e le finestre talora venivano serrate con arnesi o di legno (varrine) poste di traverso all’apertura ed innestate nella muratura per mezzo di due incavi. I motivi ornamentali si limitavano all’intonacatura grezza delle pareti della stanza da letto. I bassi ed i catoggi erano per lo più privi di intonaco civile. Sulla facciata principale del fabbricato vi erano poste la porta con due finestrini laterali e delle dimensioni di cm 60x70. Ai piani soprastanti (mezzanili) vi era posta una sola finestra che dava aria e luce all’ambiente. Sin dall’origine accanto alle abitazioni vi era posto il giardinetto per comodo di foglie, franco di peso (l’orto familiare), ciò per concessione del principe d’Aquino. Nel catasto provvisorio del 1809 sono rivelati gli orti familiari distinti per località e superficie. In totale sono stati censiti 255 orti corrispondenti al 81% delle case esclusi i bassi, ed al 66% bassi compresi, di cui 184 aventi una superficie media 500 palmi quatrati (105 mq.), 5 orti avevano una superficie media di 1.000 palmi quadrati (210 mq.), 2 orti avevano una superficie media di 1500 palmi quadrati (315 mq.), 15 orti avevano una superficie media di 2.000 palmi quadrati (440 mq.), 3 orti avevano una superficie media di 4.000 palmi quadrati (840 mq.), 1 orto aveva una superficie media di 8000 palmi quadrati (mezza tomolata). Nel censimento delle proprietà all’interno del paese sono stati censiti anche 7 ovili di cui 2 nel rione Arella, 1 nel rione Carpanzanese e quattro nel rione S. Giuseppe Le case, pur nella costante della loro linearità, presentavano delle differenze evidenti determinate dalla posizione sociale dei suoi proprietari. Tra gli elementi architettonici prevalenti, quello più ovvio è il tufo, pietra locale di colorazione rosata proveniente dalla zona di Grimaldi, Altilia, Scigliano, Rogliano, Marzi e sono state per lungo tempo una risorsa per le genti della valle del Savuto ed hanno dato origine ad una attività artigianale che è perdurata nei secoli. L’arco come elemento strutturale ha avuto una grande importanza perché ad esso si collega tutta la storia delle costruzioni. Gli archi che si eseguono per la chiusura superiore delle aperture nei supporti murari tradizionali sono formati da una serie di elementi (conci) che agiscono tra loro per mutuo contrasto e trasferiscono i carichi superiori sulle spalle. Negli archi in tufo il numero dei conci e sempre in numero dispari poiche' ciò consente di ottenere un corretto ancoraggio a serraggio della chiave di volta. Una attenta e puntuale lettura dei portali nel centro di Sammango mette in luce tutta l’evoluzione artistica e mettono in risalto tutto l’estro di coloro i quali hanno inciso: i valenti e laboriosi scalpellini. Abili artigiani, gli scalpellini, lavoravano di mazza e scalpello, estraendo blocchi e lastre da piccole cave per lo più saltuarie e li squadravano per ottenere le pietre da costruzione. I blocchi più pregiati venivano utilizzati per decorazioni, archi, portali, volte. Si possono vedere ancora oggi queste piccole cave, da cui gli scalpellini estraevano i blocchi di pietra. S. Mango vanta nelle sue antiche costruzioni molti portali in pietra tufacea intagliata. Attualmente se ne possono ammirare in numero di 22 ma è da supporre che al tempo della formazione del catasto ve ne fossero ben altri.

 

 

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