Il periodo francese

Inizio 800

Da ricerche di Francesco Torchia
 

 

Il 27 dicembre 1805 Napoleone dichiarava decaduti i Borboni dal Regno di Napoli. Il Re Ferdinando IV di Borbone, il 23 gennaio 1806, vista l’impossibilità ad attuare una difesa  efficace del Regno abbandonò precipitosamente  Napoli e si imbarcò per Palermo.

L’esercito francese al Comando del generale Rejnier in breve tempo ebbe ragione dell’esercito Borbonico che si diede alla fuga disordinatamente.

 Il 15  marzo transitò per Soveria Mannelli , importante e strategico crocevia delle comunicazioni tra la Provincia della Calabria Citra e la Provincia della Calabria Ulteriore ove venne  istituito un posto di distaccamento.

Pur di procacciarsi da vivere, gli invasori si lasciavano andare ad ogni forma di minaccia,  intimidazione e  violenza.

Il popolo terrorizzato e  sbigottito per la cattiva fama che si diffondeva ove passavano i francesi  spesso abbandonava le case di abitazione nei villaggi per rifugiarsi nelle campagne e nei fitti ed impenetrabili  boschi.

Tentativi di opposizione allo strapotere ed alla brutalità degli invasori erano inutili ed i francesi pur di procacciarsi da vivere per le milizie oltre che per i foraggi per gli animali si abbandonavano ad ogni forma di sopruso arrivando spesso e volentieri a sopprimere con la forza arrivando anche ad uccidere gli oppositori.

A  Soveria Mannelli il 21 marzo 1806, un ufficiale francese che aveva  cercato di abusare di una donna del luogo  venne ferito a morte dal marito di colei, tale Carmine Caligiuri.

Questi  alla testa di un gruppo di  cittadini di Soveria trucidò anche un drappello di 14 soldati che formavano il corpo di sorveglianza del paese.

Il Caligiuri, diventato  il capo della rivolta contro i francesi, tre giorni dopo alla testa dei rivoltosi assali’ un convoglio  che trasportava farine e vettovaglie costituito da  14 muli scortato da 8 soldati, che vennero  barbaramente trucidati nella periferia del paese.

Il giorno successivo i rivoltosi tesero un’altra imboscata  al distaccamento francese nei pressi della Chiesa del Pascolo in territorio di Pedivigliano  e sul campo di battaglia   persero la vita 40 soldati francesi; In tale occasione  i rivoltosi fecero incetta di un enorme bottino tra armi e danaro che venne diviso tra loro.

In breve tempo la notizia della rivolta fece il giro dei paesi vicini ed il numero dei rivoltosi  aumentò  enormemente.

Il generale  Rejnier  diede ordine al generale Verdier di  spegnere i focolai di rivolta utilizzando a tal uopo tutti i mezzi a disposizione  e di procedere, ove era il caso,   ad arresti, trucidazioni ed incendi dei villaggi insorti.

Un gruppo di rivoltosi  composto da cittadini dei Villaggi di Soveria, Conflenti, Gizzeria, Castiglione,  S. Biase  si diede appuntamento sul colle di Platania onde colpire di sorpresa il nemico.

Ben presto persero la felice postazione che venne conquistata dai francesi che  misero alla fuga il gruppo di rivoltosi ai quali venne inflitta una pesantissima sconfitta.

Alla fine della battaglia i rivoltosi contarono   60  vittime e molti feriti.

Un altro scontro feroce ebbe luogo tra Conflenti e Martirano  ed in un primo momento  l’esito dello scontro fu favorevole  ai   rivoltosi  che  riuscirono ad arrestare le avanguardie francesi .

Poi  con  l’arrivo di rinforzi ben armati, guidati dal colonnello Dufour, cedettero di colpo e fu la disfatta, vennero messi in  disperata fuga nelle campagne e ben oltre  Martirano.

Il grosso delle forze francesi che  si era dato alla caccia dei rivoltosi, incendiato il villaggio di Conflenti si riunì a Martirano e da qui, scendendo il Savuto ed attraversando il villaggio di San Mango lungo la Via Serra, raggiunsero in breve tempo e misero a tacere definitivamente i rivoltosi a Nocera, che aveva issato bandiera napoletana.

Il primo luglio l’esercito inglese composto da circa 5.000 soldati si imbarcò dalla sicilia ed approdarono nel golfo di S. Eufemia.

I francesi che avevano occupato postazioni sulle alture di Maida vennero bersagliati da un terribile fuoco di concentramento dalle artiglierie nemiche,  ebbero la peggio lasciando sul campo circa 1500 tra morti feriti  ed una intera brigata venne annientata e furono costretti ad auna disordinata fuga verso Cassano alle spalle di Campotenese.

Così dopo la sconfitta francese di Maida quasi tutta la calabria era in mano ai briganti, raccolti in grosse formazioni, che successivamente inizieranno a praticare quella tecnica di guerra che, più tardi in Spagna, sarà definita per la prima volta col nome di “guerriglia”.

Con l’arrivo  del Maresciallo Massena i luoghi di insurrezione vennero in breve riconquistati e gli inglesi si ritirarono.

Si legge nel libro di ignazio ventura –nocera Terinese- storia di una terra di Calabria -pag. 56 che Nocera non accolse benevolmente i soldati francesi per cui anch’essa non resto’ immune da saccheggi, incendi ed eccidi. Nel gennaio del 1807 una compagnia di soldati al comando di un altero capitano, cavalcante un cavallo bianco, si approssimava all’abitato per presidiarlo e requisire viveri, bestiame e biade. Giunti sulla riva sinistra del torrente Rivale, in prossimità dell’abitato, furono fatti segno a qualche colpo di arma da fuoco partito dai rioni Valle e Rupe e da un razzo partito, quasi per sfida dalle vicinanze della Piazza. La reazione fu rapida e violenta: credettero individuare la casa dalla quale erano partiti i primi colpi, in quella della famiglia Passeri nel rione Valle, tutti componenti della famiglia, vecchi, giovani, domestiche, vicini di casa, ivi radunati in occasione della uccisione del maiale furono passati per le armi. Il padrone di casa Giovambattista Passeri fu buttato nel grasso bollente e così l’intera famiglia si estinse. Nello stesso rione fu saccheggiato ed incendiato il palazzo Procida ed il palazzo ventura. Nel rione piazza e rupe furono egualmente saccheggiati ed incendiati i palazzi Amendola, Ungheri, Procida, Ripoli e tutte le casette ivi esistenti fin quasi la chiesa dell’Annunziata 

Il paese continuò ad essere presidiato per altri due anni ancora, perché la Calabria era considerata in stato di assedio, allo scopo di rastrellare i superstiti ribelli e requisire viveri e vettovaglie per le truppe.

In una lettera del 9 aprile 1807 scritta dal corriere Vigurel della 7°  Compagnia del 2° Battaglione a Mr burgos della 2° compagnia del 22° Reggimento Fanteria in Amantea si legge che in territorio di Nocera erano stati catturati 15 “brigantes” di cui 7 erano stati uccisi, mentre i rimanenti 8 si mandavano, sotto scorta, in Amantea presso il comando. In una altra del 12 maggio 1807 si legge che a Nocera erano stati requisiti 10 bovini, 70 ovini, 10 maiali, per vettovagliamento delle truppe in Amantea e che non si era potuto effettuare subito il trasporto a causa della piena del fiume Grande

I francesi che non avevano più ostacoli di sorta disarmarono le città ed i villaggi ed i luoghi nei quali si opponeva la benchè minima resistenza vennero saccheggiati e messi a fuoco. Il più dispotico potere militare fu stabilito ovunque.

Gli insorti rimasero tuttavia padroni di qualche forte come quello di Amantea che oppose una vigorosa ed energica resistenza e la conquista avvenne il 7 febbraio del 1807, solo dopo un assedio che durò venticinque giorni. E subito dopo la resa degli insorti le truppe francesi furono impiegate nella caccia delle bande di briganti che infestavano i paesi della Calabria.

Il moto di Soveria non fu un episodio isolato. Quasi in ogni contrada c’era quindi un focolaio di resistenza ai francesi da Gizzeria a Falerna, a Nocera, Martirano, Conflenti, Motta, Altilia ed anche S. Mango non mancò di dare il proprio contributo. Anzi S. Mango dall’autunno del 1806 all’aprile del 1807, divenne un punto nevralgico si smistamento delle vettovaglie necessarie al sostentamente delle varie pattuglie che operavano in tutto il nostro circondario.

L’opposizione avveniva per mezzo di bande di briganti che avevano costituito delle pattuglie armate che compivano azioni di disturbo e di guerriglia assaltando i reparti militari francesi. E su di esse contavano i borboni per creare un moto insurrezionale di tipo sanfedista.

A capo di queste bande infatti c’erano uomini di antica fede borbonica come Panedigrano di Conflenti, Francesco Antonio Materazzo di Sambiase, Giovambattista De Micheli che sino all’arrivo dei francesi era stato il preside della provincia ed abitava a Fiumefreddo Bruzio,  Alice di Cannavali che si distinse in azioni di guerriglia durante l’assedio di Amantea, Pietro paolo Gualtieri di Scigliano, D. Gennaro Gualtieri figlio di Panedigrano di Conflenti,  Giacomo Costanzo Alias Niuriello capo brigante di Pedivigliano  Raffaele Antonio Falsetti (centanni), Angelo Abate, Raffaele Nicastro figlio del possidente d. Rosario Nicastro, il brigante Vitaliano Mazza, Giacomo dell’Urzo brigante, Gabriele Talarico de Piccoli, D. Giuseppe Grandinetti da Martirano, Giovambattista de Gattis da Martirano, Il Maggiore Comandante Giuseppe Mannetti, Il capitano Pietro Vono da Nocera Terinese, Il Capitano Amendola da Nocera Terinese ed Alice che era un contadino di Aiello calabro, contrada cannavali, allora irraggiungibile e sperduta, era un giovanotto molto bravo, impetuoso incurante di disciplina. Erano tutti costoro, meno alcuni senza cultura di lettere, senza perspicacia di ingegno e tutti più o meno di oscuro lignaggio.

Il 3 dicembre Verdier mosse da Cosenza. Formavano la squadra due battaglioni del primo reggimento di linea, uno dei coscritti del deposito del  5° e 14° d’infanteria leggiera, uno della legione corsa, squadrone del 29° dei Dragoni. Dei borboniani parte rimasero a difesa della piazza, i più, a fin di tribolare il nemico, imboscarono nelle alture fiancheggianti angusto sentiero trarupato, lungo il quale mette a lago, donde si giunge in Amantea. I Borboniani, fatto richiamo, aumentarono di numero, parte ponevansi in agguato sopra i colli, parte dietro le rocce, casi abituri sparsi. Verdier ordinò, con militare prudenza, che il battaglione corso marciasse a dritta; una compagnia del 1°di  linea, a sinistra sulla cresta dei monti; il resto coi bagagli, lungo il contrastato sentiero. I volteggiatori della tre colonne tennero foco vivo, continuo con minore offesa del nemico, perito dei luoghi, traente sul fermo.

Poco restava del Cammino per occupar S. Pietro, quando i Borboniani, 1.200, sotto Alice, apparvero sopra un colle a manca.

Verdier mandava ad attaccarli l’infanteria leggiera ed il 14° reggimento. Breve come suole, ferma fu la mischia, ma i regolari prevalsero, obbligando il nemico a cedere del forte sito, ove lasciò morti circa 30, comunque gli scrittori abbian taciuto, maggiori danni dall’altra parte. Dopo aver tribolato gli assalitori, i Borboniani, meditando gravissime offese, in più forti siti si ritrassero.