PANORAMICA POLITICA DI FINE 700
Da ricerche di Francesco Torchia
Napoleone Bonaparte invase l'Italia nel 1796 entrando dal Piemonte e marciando verso la Lombardia e il Veneto. Come è noto, la conquista fu fulminea, ma ciò che meno si conosce è il fatto che ovunque arrivassero francesi e si istituissero repubbliche giacobine le popolazioni insorgevano in massa contro i rivoluzionari in difesa della civiltà tradizionale italiana.
Così fu nel 1796-'97 nel Nord Italia, così nel 1798 nei territori dello Stato Pontificio invaso nel febbraio dai francesi
Ma veniamo ai fatti del Regno di Napoli. Dal febbraio 1798 lo Stato Pontificio non esisteva più, e al suo posto era nata la giacobina Repubblica Romana: ma per tutti i mesi successivi decine di migliaia di persone erano insorte in armi contro i repubblicani in nome di Pio VI, che era stato costretto a lasciare Roma.
Nel novembre del 1798 Ferdinando IV decise di attaccare la Repubblica Romana per riportare il sovrano Pontefice sul suo legittimo Trono e cacciare il giacobinismo e l'invasore napoleonico dall'intera Penisola.
Attaccato da Sud, il generale napoleonico Championnet dapprima si ritirò, permettendo a Re Ferdinando IV di entrare da trionfatore in Roma (la popolazione lo accolse in un tripudio di gioia generale); poi però contrattaccò; a questo punto l'esercito napoletano non fu capace di resistere, e si ritirò precipitosamente verso Napoli, evitando sempre di combattere, e consegnando, senza colpo ferire, ai francesi tutte le fortezze dei territori settentrionali del Regno, compresa quella inespugnabile di Gaeta.
La notte del 21 dicembre il Re, con tutta la sua famiglia, scappo' davanti all'imminente invasione e, attraverso un passaggio segreto, giunse al porto e trovo' rifugio sulla nave ammiraglia britannica di Orazio Nelson che lo porto' in Sicilia
La rivolta dei lazzari iniziò appunto il 13 gennaio 1799, e costrinse i democratici partenopei a rinchiudersi nelle fortezze della capitale.
Quando Championnet decise di attaccare Napoli, i lazzari iniziarono un'eroica quanto impossibile resistenza, che durò fino al giorno 23, e costò 10.000 morti più 1.000 francesi. Il giorno 21, mentre l'intera città combatteva e moriva contro i francesi, poche decine di giacobini rinchiusi in Castel S.Elmo avevano proclamato la nascita ufficiale della Repubblica Partenopea.
Alla fine Championnet prese la città (occorsero, per venire a capo della resistenza popolare, tre eserciti francesi e si dovette ricorrere alla mostruosità di dare fuoco alle case del popolo per far venire fuori la gente e fucilarla sul colpo). Viene issato il tricolore della Repubblica Napoletana: giallo, turchino e rosso.
E nei nostri paesi venivano innalzati gli alberi della libertà che rappresentavano il simbolo della libertà politica, si convocavano i parlamenti per la elezione delle nuove municipalità e nelle chiese si intonava il Te deum per la proclamata repubblica.
Le popolazioni si dimostrarono indifferenti allo sconvolgimento politico che era avvenuto.
Napoli rimase in mano al Vicario Pignatelli Strongoli, che fu poi di fatto esautorato dal Corpo degli Eletti, un antico organismo aristocratico, ove spiccava la figura del giovane Antonio Capece Minutolo principe di Canosa, strenuo difensore della legittimità borbonica (lo sarà per tutta la vita); ma di fatto, durante i giorni di gennaio, l'anarchia si affermò nella capitale, specie man mano che i francesi si avvicinavano.
PRIVATE "TYPE=PICT;ALT=Riguardo ai lazzari, sempre descritti come barbari fanatici ed incivili da tutta la storiografia nazionale di questo secolo, a partire da Benedetto Croce in poi, mi limito a riportare il giudizio di chi li conobbe veramente e li combat"Nei giorni seguenti la presa di Napoli e l'istituzione della Repubblica giacobina, un Cardinale della Chiesa, principe ed appartenente ad una delle più antiche famiglie del Regno, Fabrizio Ruffo dei duchi di Baranello e Bagnara, al tempo direttore della colonia di S. Leucio, di sua iniziativa si diresse a Palermo per domandare al Re uomini e navi per riconquistare il Regno.
Cosa fu a spingere il Ruffo a fare ciò, e cosa egli esattamente avesse in mente, non lo sapremo mai.
Egli non
era un generale, era solo un prete nobile, come tanti a quei tempi. Quel che è
certo è che, giunto a Palermo e parlato con i sovrani, ottenne il titolo di
Vicario plenipotenziario del Re, una nave e sette uomini.
Il Ruffo, forse già nel viaggio del volontario esilio a Palermo, ottenne il 25
gennaio (e gli vennero affidati) 3000 ducati per le prime necessita' con la
promessa di altri 1500.
Da Palermo si diresse alla volta di Messina, due giorni dopo, in compagnia del marchese Filippo Malaspina, dell'abate Lorenzo Spaziani, del cappellano Annibale Caporossi e del cameriere Carlo Cuccaro con tre domestici al seguito
Il 31 gennaio li attendeva Domenico Petromasi; tra otto giorni appena sarebbero ripartiti per raggiungere le coste calabresi.
Allo
sbarco, a Punta Pezzo, vicino ai feudi della sua famiglia., il Ruffo incontro'
Antonio Winspeare, il tenente Francesco Carbone e Angelo Di Fiore.
Il 13 febbraio, nominati nei rispettivi incarichi i suoi collaboratori e
affidato l'incarico per gli affari di Stato al Di Fiore, il cardinale mosse alla
volta della vicina Scilla.
Probabilmente, chiunque altro avrebbe rinunciato alla folle idea. Non il Ruffo. Egli veramente partì con quel che aveva. Se il 13 febbraio il cardinale disponeva di 7 uomini; due mesi dopo erano decine di migliaia di volontari accorsi da ogni parte del Regno: è chiaro che fra essi vi fossero anche elementi non raccomandabili. Ma non erano "il nerbo" dell'Armata della Santa Fede! Questo era composto da nobili, contadini, borghesi, ufficiali, finanche preti, pronti ad abbandonare famiglia, ricchezze, lavoro, case, chiese, per andare a combattere il giacobinismo al seguito di un cardinale.
Quattro mesi dopo, l'esercito dei volontari della Santa Fede (il Ruffo chiamò il suo esercito "Armata della Santa Fede" o "Armata Cattolica e Reale"), o sanfedisti, era composto di decine di migliaia di persone, ed entrava in Napoli da trionfatore, restaurando la monarchia borbonica.
Il Ruffo giunse a Mileto il 24 febbraio e qui lavoro' duramente con i suoi consiglieri per ordinare la grande massa di volontari confluiti in quella città da dove si avvio' per Monteleone (Vibo Valentia) con otto compagnie di truppa che formavano il Reggimento dei Reali Calabresi comandati dal colonnello de Settis
Il Ruffo emano' alcuni provvedimenti che avrebbero dovuto portare un po' di calma. Come e' evidente, favoriti dalla carenza di pubblici poteri, le bande scorazzavano per la regione. I furti, le uccisioni, le vendette poste in atto da queste comitive di banditi erano pressoché quotidiane e trovavano, nel generale disordine, condizioni propizie per essere portate a termine non mancando la complicità delle autorità locali e, molto spesso, il sostegno di influenti proprietari terrieri.
Agivano in totale immunità operando specialmente sulle strade recando seri danni al commercio.
In questi luoghi a capo di alcuni briganti vi era un certo d. Nicola Gualtieri Alias Panedigrano originario della nativa Conflenti il quale svolse un ruolo di prim’ordine nella controrivoluzione in quanto con la sua banda riconquistò Nocera e Falerna, poi si spinse fino a Fiumefreddo Bruzio consentendo in tal modo all’altra banda di Giuseppe Licastro di conquistare Cosenza e ricevere l’omaggio del vescovo della citta.
I briganti si erano aggregati all’armata sanfedista solo per l’interesse di ottenere, in caso di vittoria, l’indulto e la libertà oltre alle normali gratificazioni materiali come premio di guerra.
In tal modo la controrivoluzione si estese immediatamente anche in tutto il territorio lametino.
Il 7 marzo 1799 il Ruffo giunse a Maida che divenne il luogo di raccolta di tutte le bande reazionarie del circondario.
Le popolazioni nella stragrande maggioranza erano rimaste realiste ed estranee alla novità del movimento rivoluzionario.
E nei paesi sollecitamente si abbattevano gli alberi della libertà e coloro che erano stati gli animatori delle breve esperienza repubblicana rimasero vittime della selvaggia repressione e si nominavano i deputati da inviare al Ruffo per annunciargli la fedeltà.
Maurizio Ferraro, Giuseppeantonio Muraca, Francesco Berardelli, Francesco Medici, Giuseppe Grandinetti insieme al possidente di Scigliano D. Rosario Nicastro, il Fascetti di Motta S. Lucia, annunciarono al Ruffo l’adesione ed i sentimenti agli ideali della Corona, la obbedienza e la fedeltà dei comuni del circondario.
In Motta S. Lucia il moto controrivoluzionario fu attuato da una vera e propria banda realista guidata dal Sindaco Fascetti.
Era di Nocera Andrea Vaccaro che prese le armi a favore della religione e della Corona e nel mese di febbraio si unì all’armata cristiana comandata da Panedigrano con il grado di Maggiore de Regi Eserciti, e ne seguì gli attacchi e “realizzazione” di Paola, Cosenza, Corigliano, Rossano ed altri luoghi. Tale circostanza è testimoniata da una attestazione di fede rilasciata dallo stesso Panedigrano in Conflenti il 1° febbraio 1800.
Il 3 aprile il Ruffo scriveva all'Acton che "le Calabrie sono ormai ridotte all'obbedienza del Re N.S. poichè dei paesi ribelli non rimanendo altri di qualche considerazione se non Corigliano e Rossano...".
Tuttavia
la riconquista della Calabria non poneva fine alle lotte sociali e alle
violenze; il disordine amministrativo ed economico raggiungeva forme assai
gravi.
Il Cardinale Ruffo in maggio mosse verso il nord, passando attraverso Matera,
quindi Altamura, per dirigere poi verso Manfredonia ed Ariano, ove giunse il 5
giugno, e si preparò a marciare sulla capitale, che conquistò, come è noto, non
senza una tragica battaglia che rivide i lazzari napoletani nuovamente in
azione, il 13 giugno, neanche a farlo apposta il giorno di Sant'Antonio,
protettore ufficiale della "Armata Cattolica e Reale".
Nota:
I Ruffo, antica famiglia patrizia, è presente in Calabria sin dall’undicesimo secolo. Salì in potenza e splendore sotto gli Svevi specialmente con Pietro I, maresciallo del regno e conte di Catanzaro nel 1253, e con Pietro II, pronipote di Pietro I e favorito dei primi Angioini, dai quali ebbe la contea di Catanzaro già confiscata al prozio. Il ramo principale si estese con Enrichetta, sposata ad Antonio Centelles. I signori, poi Conti di Sinopoli, di cui fu capostipite Enrico, si divisero in due rami, illustrati da militari, prelati e diplomatici insigni: il ramo dei Ruffo di Scilla e quelli del ramo di Bagnara.
I Ruffo, insieme a poche altre famiglie potenti, che per secoli hanno amministrato il territorio meridionale e calabrese in particolare, hanno sulle loro spalle le colpe del gravissimo degrado in cui si trovano oggi questi territori. Mentre nel corso dei secoli, le sorti delle popolazione del resto D’Europa e d’Italia, camminavano di pari passo con l’evoluzione sociale, a causa della politica repressiva e totalitaria di alcune famiglie potenti tra cui i Ruffo, il popolo meridionale è rimasto il più povero ed il più arretrato di tutti.