PIETRO ARCURI
(a cura di Armando Orlando)
La vita di Pietro Arcuri è un lungo
periodo di tempo intensamente vissuto, è la vita tipica di un figlio della
Calabria che fin da giovane lasciò la sua terra alla ricerca di se stesso, nel
tentativo che ogni uomo persegue per realizzarsi pienamente attraverso l’amore,
il lavoro, la famiglia, gli affetti.
Nato il 4 aprile del 1901 a San Mango d‘Aquino, un paese che dall’alto del suo
colle domina la valle del Savuto, a poca distanza dalla costa tirrenica, nella
provincia di Catanzaro, lasciò il suo paese nel 1924 ed emigrò in Argentina
prima ed in Uruguay dopo. Esercitò i mestieri più umili, fece il tranviere, il
commesso, il suonatore, e collaborò ad un giornale italiano all’estero.
Nel 1935 fu in Africa Orientale come lavoratore e dopo un anno ritornò a San
Mango. La ricerca di un lavoro lo portò in Toscana e nel Regio Teatro di
Grosseto recitò nella filodrammatica dei minatori. Una sua poesia meritò un
attestato significativo.
Ritornato in Calabria ha lavorato nell’Opera Sila in qualità di assistente edile e successivamente ha prestato la sua opera nel Corpo Forestale dello Stato.
E’ morto a San mango d’Aquino il 15 maggio 1982.
La sua poesia è tutto un ricordo di questi avvenimenti, vissuti e sofferti con intensità, e mette in risalto i fatti che hanno dato una svolta decisiva al suo carattere, alla sua formazione, al suo pensiero.
La sua produzione è abbondante, e le
liriche sono state scritte sia in italiano che in dialetto calabrese. I motivi
di ispirazione Pietro Arcuri li ha trovati nella vita di tutti i giorni, e
l’amore, il ricordo della giovinezza, la rassegnazione davanti al tempo che
passa, i momenti di felicità e di allegria vissuti con la famiglia o con gli
amici, le lunghe e romantiche serenate notturne al suono della chitarra, il
dolore ed il rimpianto per la perdita de genitori, la composta meditazione
davanti alla morte, sono temi trattati con una delicatezza di parole e con una
profonda tensione emotiva.
Lo ricordo ancora quando un pomeriggio
domenicale di un giorno di freddo, davanti a me, giovane cultore di memorie e di
tradizioni paesane, non seppe trattenere le lacrime recitando la sua “Serenata
ai morti”, un componimento in cui gli accenti lirici del dolore sentito sulla
soglia del cimitero si mescolano alla tristezza della sorte umana, dando luogo
ad una delle sue poesie più belle, dove troviamo degnamente rappresentato
l’amore verso i genitori, ancora forte ed immutato a tanti anni dalla loro
scomparsa, e l’amore verso gli amici, a cui è rimasto sempre attaccato da una
fedeltà e da una generosità che è difficile riscontrare nei rapporti umani dei
nostri giorni.
Poesia essenzialmente oggettiva, dove l’autore parte dalla visione della natura
e del paesaggio per trarre lo spunto ed esternare i suoi pensieri è la lirica
“Al mare”, scritta su uno scoglio di Capo Colonna nel 1953. In essa la
malinconia e la tristezza esistenziale sono vinte dalle forti sensazioni
suscitate dalla vista del mare, e l’anima del poeta, finalmente liberatasi di
ogni preoccupazione terrena, può cominciare il suo viaggio, limpida e
trasparente, inseguendo sogni di serenità ed abbandonandosi in un canto poetico
dai toni accurati. Meravigliosa è l’invocazione alla Madonna, che chiude la
poesia. Invocazione che unisce la preghiera del poeta ad essere salvato e
protetto dalle insidie della vita alla preghiera di tutti i marinai che da
lontano, passando al largo della costa crotonese, intravedono i resti
dell’antico tempio greco e del Santuario. Il rimpianto per la felicità
conosciuta da bambino, quando il cuore non conosce passioni e tormento, quando
tutto è innocente, semplice, sincero, e quando il mondo che ci circonda appare
favoloso e splendido, è un tema ripreso nella poesia “La culla”. Gli anni più
belli della sua vita, la consapevolezza che la realtà è diversa dai sogni del
passato, lo smarrimento di un essere che cerca di realizzarsi fra la noia e
l’indifferenza della gente, il desiderio di tornare indietro negli anni per
rivivere almeno in sogno l’ingenuità del periodo di adolescenza sono sentimenti
e considerazioni mirabilmente espressi, dove ognuno di noi si riconosce e dove
con vibrante passione emerge ancora una volta la figura della madre. La madre
che quando non c’è più finisce per rappresentare la nostra stessa giovinezza, le
nostre ansie, i nostri primi affetti, il nostro primo grande amore.
L’ultima poesia che vogliamo ricordare
è “Invocazione del minatore”. E’ stata scritta nel 1940 nel corso della
permanenza in Toscana, ed è un appello spontaneo e disperato che sgorga dal
profondo del cuore. Vuole rappresentare la preghiera del minatore, che passa
gran parte del suo tempo nell’oscurità delle miniere, ed è allo stesso tempo un
riconoscimento doveroso per tutti gli uomini che spesso perdono la vita o la
salute in tante parti del mondo. E’ infine un omaggio al lavoro dell’emigrante
che ha lasciato la sua terra alla ricerca di migliori condizioni di vita per
abbandonare la miseria e la povertà. In questa poesia l’armonia dei versi forma
un’unica entità con il contenuto, e la musicalità che la caratterizza rende più
dolci le immagini che i versi stessi suscitano.
Pietro Arcuri ritorna al suo paese natale dopo lunghi anni di assenza, dopo aver
conosciuto amarezza e sconforto, solitudine ed illusione, dopo essersi creato
con la forza della sua volontà una famiglia ed una casa, dopo aver lottato e
vinto le avversità della vita.
E’ tornato sulla terra che lo ha visto nascere, attirato da un richiamo del
cuore che è sempre presente nel destino degli uomini del Sud, per respirare
l’aria del suo paese, per fermarsi a guardare i rossi tramonti del sole, che fra
bagliori di luce si perdono nelle acque del Tirreno, per sentire ancora il
profumo della primavera calabrese che torna ogni anno con l’arrivo delle
rondini, per scrutare in lontananza gli aspri massicci montani della Sila ed in
essa riconoscere la tenacia e la forza che hanno caratterizzato i momenti più
difficili della sua vita.
E’ tornato per confortare con la sua presenza e per essere un esempio difficilmente imitabile di come si vive una vita dignitosa ed onesta.
Armando Orlando
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