Giacinto Falsetti

Diario n. 2 - Rose nel deserto

Ho descritto nel diario n° 1 l'orrore della guerra e lo spettro mortificante nei campi Di concentramento, sono tristi ricordi che appartengono alla vita perché è la vita stessa che li ha vissuti, ma da cristiano nato e praticante tengo a precisare che anche nei momenti più disperati della vita, quando tutto sembra perduto vita compresa, la fede e la speranza devono sempre prevalere su tutto e tutti.
Sono da circa sei mesi chiuso assieme a tanti altri nel campo di concentramento n° 16 col n° 38844 di matricola in Africa del Nord; i nostri padroni sono francesi, ma la nostra pelle è affidata a gente di pochi scrupoli, è un campo dove entra tanta miseria ed escono tante giovani vittime stroncate dalla fame e dal colera: è una vita che lentamente si consuma e tutto finisce nel nulla, solo la fede e la speranza né si ferma e né si annulla, ma cammina col tempo che lentamente passa.
Rassegnarsi alla libertà perduta non è facile pur sapendo che per riconquistarla è difficile ma si spera e con ogni mezzo si tenta, e cosi fu per il sottoscritto nei primi di luglio del 1943 che un bigliettino minuto minuto avvolto in una piccola pietra col numero  di matricola e la scritta "perché morire a vent'anni?" lanciato fuori dal campo mi fece trovare in breve tempo come un figlio adottivo in una famiglia di nobili cristiani.
Il compito che mi venne affidato in principio fu delicato e difficile, ma non impossibile e l'affrontai con tanto impegno non solo per la sopravvivenza di una vita che ancora ha diritto alla vita, ma per riconoscenza a coloro che mi avevano tolto da quell'inferno di sepolti vivi. Mi fu affidato l'allenamento di due magnifici cavalli da corsa e calesse: Bigiù e Giulia, superbi e diffidenti, ma in poco tempo e con tanta pazienza divennero bravi perché, a differenza degli uomini, non conoscono né odio né vendetta.
Tutti i sabati dovevo portare a spasso due splendide giovinette: Iola e Mafi un po' in sella e il resto in calesse. In principio anch'esse, come i loro cavalli, erano caparbie e diffidenti anche perché parlavano lingue diverse, ma a gesti feci loro capire che la diffidenza tra uomo e donna è come una spina fra due dita: fa male ad una e all'altra parte.
Fu proprio merito, di queste due splendide giovinette che imparai l'arte del cavallo e del cavaliere. Man mano che il tempo passa la vita si ripiglia e si risveglia e torna nel sangue l'istinto di madre natura che dice; "ama chi ti ama" e così io amai queste due splendide giovinette dal cuore nobile e sincero che, per riconoscenza, e gratitudine, ribattezzai "Rose del deserto".
Anni '43-'46 AFRICA .
Giacinto Falsetti

 

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