La poesia

(di Armando Orlando)

       

            Per comprendere il fascino che circonda la poesia di Domenico Adamo e capire il messaggio che essa racchiude è necessario conoscere il suo tempo, ricordando in quali condizioni si svolgeva la vita nei paesi e nelle campagne.

            Per questo abbiamo parlato anche dell’ambiente, del folklore e delle tradizioni riguardanti il paese di origine del poeta.

            La realtà economica e sociale di quegli anni era ancora dominata dal potere di pochi, i quali, avvalendosi di un sistema molto vicino al feudalesimo, s arricchivano esercitando un pesante sfruttamento sulle altre classi del popolo.

            Contro quella realtà Domenico Adamo si ribellò. Schietto nel parlare, coraggioso nel rimproverare ai signori le loro angherie, capì le aspirazioni del popolo, le fece sue e le difese fino all’ultimo, pagando di persona.

            Visse in povertà il primo periodo di una vita intensa e dolorosa, fu ingannato dagli amici, perseguitato dai ricchi e dai potenti, abbandonato da tutti e costretto ad emigrare, nella speranza di trovare al di là dell’Oceano migliori condizioni di vita. Ma questa sua attesa andò subito delusa.      Giunto in America, si accorse che ovunque era il povero a soffrire, a sopportare una vita di stenti e di dolore. E scrisse la poesia “Nova Yorka”, composta sulla scia della delusione che gli aveva procurato la società americana, dove gli emigrati venivano inseriti nel circuito dello sviluppo capitalistico, allontanati sempre più dai legami con la loro cultura e prigionieri di un sistema basato sul profitto e sulla ricchezza.

            Le poesie in dialetto costituiscono una valida testimonianza di questo primo periodo di vita, culminato con l’emigrazione e con l’impatto con la realtà americana.

            Poi il lavoro a Brooklyn gli assicurò una modesta condizione di vita, ed altri pensieri, altri sentimenti, altri motivi di ispirazione si fecero strada nell’animo del poeta. Se da un lato l’America non figurava più come la terra promessa, dall’altro il paese natìo gli appariva come un sogno, con i suoi profumi, i suoi paesaggi, i suoi tramonti.

            Nostalgia per la terra natale e rimpianto per il tempo passato costituiscono spesso i sentimenti tipici di un’esistenza che sembra voglia superare e colmare il solco dell’amarezza e del dolore. Sincerità d’animo, spontaneità di sentimenti, amore per le cose semplici e naturali sono i temi dominanti delle poesie in italiano.

            Poeta di finissima sensibilità, credette in un’epoca nuova, rinnovatrice dei costumi, ed osservò le ingiustizie della vita con un sospiro di rassegnazione e di compatimento, senza lo strascico doloroso del rammarico e della lamentela.

            Nella poesia “Duve nascivi” il sentimento del poeta si scioglie sulle corde della nostalgia, nel ricordo della terra natale; in essa figura non solo la tristezza per essere stato costretto a partire, ma anche un senso di commossa ed intima gratitudine verso la terra che lo ha ospitato e che gli ha dato la possibilità di sopravvivere alla povertà. Senso di gratitudine che assume l’aspetto di un vero e proprio inno di gioia.

            Quella stessa gioia provata da giovane a San Mango, quando di sera percorreva le strette vie del paese ed intonava serenate alle ragazze che si nascondevano dietro i balconi. Serenate rievocate nella lirica “Cara Zampugna”, ricca di suggestiva melodia e di struggenti ricordi.

            Poesia popolare, dunque, elementare nei contenuti e nelle forme, ma con profonde radici nella cultura e nelle tradizioni delle classi più umili della società. Poesia che rivela un animo semplice e buono, assetato di giustizia.

            Luigi M. Lombardi Satriani ha scritto che nei canti popolari l’invito emergente è quello della ribellione nei confronti delle ingiustizie di cui si è vittima. L’opera di Domenico Adamo costituisce una delle più alte espressioni di questa originale forma di protesta.

            Le sue poesie sono piene della contrapposizione fra signori e contadini, fra ricchi e poveri, ed il pensiero che ne deriva, oltre a testimoniare la consapevolezza dell’ingiustizia nella quale si vive ed il desiderio di cambiare la situazione esistente, esprime chiaramente una presa di posizione politica.

            In un mondo dominato dalla violenza, dove gli uomini diventano portatori di sopraffazione, la preghiera e la riflessione possono costituire un motivo di conforto. E viene composta la poesia “La preghiera di Natale”.

            Ma questo non basta a modificare l’ordine sociale esistente. E dopo la presa di coscienza della propria condizione, dopo un’attenta analisi delle cause e degli effetti, ecco il grido di dolore, ecco la ribellione e la lotta. Una lotta che l’individuo sceglie di portare avanti con le armi che gli sono congeniali.

            Domenico Adamo, calabrese, emigrato, sarto a New York, poeta autodidatta, ha scelto la cultura. Ed attraverso la cultura ha lanciato un messaggio che non può andare smarrito: non c’è posto nella storia per i pigri, per gli oziosi, per i parassiti, così come non c’è posto per quelli che vogliono continuare con i loro sistemi un feudalesimo seppellito dai secoli e condannato dal tempo.

            Le poesie furono forse più conosciute in America che in Calabria, ed a Brooklyn trovò quella soddisfazione che gli era negata in patria. Negli anni ’50 l’eco dei suoi componimenti giunse in Italia, e da allora qualcuno cominciò ad interessarsi di lui. Ma fu un interesse limitato a pochi intimi, quasi circoscritto nell’ambito di una ristretta cerchia di persone.

            Nel paese di origine, di Domenico Adamo, del figlio di Francesca Tomaino e di Giuseppe, uno sconosciuto muratore di provincia, quasi nessuno voleva parlare. Come se ci si vergognasse di quell’uomo che fino a 24 anni era vissuto a San Mango protestando contro le ingiustizie e le prepotenze dei “signori” e denunciando lo sfruttamento degli operai e dei contadini.

            Cosa voleva allora Domenico Adamo? Cosa voleva quel giovane che pochi ricordavano e che fino al 1910 aveva parlato di liberazione delle masse contadine, quando invece il popolo accettava il suo destino, subiva le prepotenze, si rassegnava? E chi non accettava quel destino, non doveva forse emigrare?

            Non era emigrato anche lui, nel 1912, perché i potenti contro i quali si era scagliato lo avevano costretto ad abbandonare il paese?

            L’accettazione di un destino dovuto ad un disegno cosmico, l’incapacità di dirigere la propria vita politica e sociale, la mancanza di fiducia in se stessi, il rispetto dell’ordine costituito, la paura del cambiamento, sono state costanti che hanno determinato, nei secoli, la vita delle popolazioni calabresi. L’antica miseria ed il dolore consueto erano preferibili ad ogni tentativo di cambiamento.

            Come poteva essere apprezzata la poesia di Domenico Adamo in una società così concepita? Come potevano essere diffuse le sue opere quando la gente rifiutava di analizzare criticamente la storia passata, e quando il popolo non riusciva a prendere coscienza della sua condizione di sfruttamento, perché la miseria non era solo un dato materiale, ma anche morale, rivelandosi un modo di vivere che coinvolgeva tutti, poveri, ricchi ed intellettuali?

            Per tutto questo Domenico Adamo fu un poeta solitario, nel suo paese in Calabria. Per tutto questo, forse, egli è stato fino ad oggi poco conosciuto dagli studiosi della letteratura calabrese.

            Ora molti critici si interessano di lui. L’isolamento nel quale si trovavano le sue opere è rotto. La sua voce comincia a diffondersi ed a varcare i confini del paese, della provincia nella quale è nato. Forse un giorno il suo nome potrà trovare posto accanto ai grandi nomi della cultura e della letteratura del Mezzogiorno.  Verso quest’obiettivo è rivolta l’opera di rivalutazione tutt’ora in corso.

 

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