A mio padre

Tu che nascesti in mezzo a le torture
dove le fibre tue ti temperasti,
senza avvilirti mai nelle sventure
passasti i mari e ramingando andasti,
ma pur col cuor trafitto di gran duolo
non ti scordasti del nativo suolo.

Come l'aquila, là, facesti il nido,
scherno facendo a tante belve umane,
e al tuo paesello fosti sempre fido
sperando ritornarci là, dimane;
quando poi lo dovesti abbandonare
per andare lontano a lavorare.

Tu che sprezzasti l'agiatezze umane
e la croce portasti con amore,
e lavorando guadagnasti il pane
chè col lavoro l'uomo acquista onore,
e a la famiglia desti la tua vita:
ch'era per te la gioia più gradita.

Tu che soffristi con coscienza pura
come il devoto fermamente adora,
sempre bramando la pace che dura,
fosti fedele fino a l'ultim'ora.
Amante del lavoro, e lavorando,
le melodie del cor al sol cantando.

 

 

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