Biografia

(di Armando Orlando)

 

Carmine Ferrari è nato a San Mango d’Aquino (CZ) nel 1911, ed all’età di 18 anni si è arruolato nel Corpo delle Guardie di Finanza dove raggiunse il grado di Maresciallo Maggiore.
Volontario di guerra sul fronte greco-albanese, ha fatto parte del plotone arditi << Gaff i>> della Guardia di Finanza, incorporato nella Divisione Alpina << Julia >> al comando della Medaglia d’Oro Magnani ed operante sul Tomoritz.
Decorato di Croce di Guerra al Valor Militare nell’azione del 1° Novembre 1940 per << aver conquistato con ardita ed abile manovra una posizione nemica >>, è stato successivamente rimpatriato per grave infermità contratta in servizio.
Già appartenente al Nucleo Sportivo della Guardia di Finanza, ha conseguito lusinghieri successi; in particolare nella maratona, classificandosi spesso ai primi posti e dando così maggior lustro al corpo di appartenenza ed al proprio paese. Per tali particolari dati sportive e di coraggio, nel mese di agosto del 1938 in Aosta – Alta Valle di Rems -, ha avuto il privilegio di essere prescelto fra numerosi appartenenti a varie Armi e Corpi, quale scorta di onore alle AA.RR., il Principe e la Principessa di Piemonte, meritandosi il plauso e l’elogio delle Autorità civili e militari della zona.
Dopo aver vissuto gran parte della sua vita a Roma, è deceduto il 6 luglio 1998 a Nocera Terinese (CZ).
La poesia di Carmine Ferrari  si snoda attraverso due binari prestabiliti: l’attaccamento al paese natìo e la passione struggente verso una donna della sua gioventù. Due amori che rimarranno impressi nel cuore e nella mente del poeta, due amori che lo accompagneranno in ogni luogo ed in ogni circostanza della sua vita.
Due amori diventati ancora più forti dopo il distacco e la partenza: egli, infatti, lasciò San Mango all’età di 18 anni. Fu allora, al momento della partenza, che la fanciulla del cuore divenne per lui l’incubo di un sogno irraggiungibile; poi – quand’ella morì – l’amore vissuto in gioventù si trasformò in dolce ricordo, in dolore, in speranza.
Il poeta considerava la poesia come “momenti di vita vissuta da persone che stanno accanto a noi, ma anche da persone disperse per le strade del mondo in cerca di migliori condizioni di vita; uomini che vivono, soffrono, lottano, amano; uomini che sentono vivo il bisogno di spazi, di luci, di orizzonti più vasti onde creare uno scenario su cui rappresentare il proprio mondo. La poesia è al di fuori dei limiti del tempo e dello spazio, è la rivincita dell’uomo sul destino, perché attraverso questa rivincita l’uomo riesce a spezzare le catene imposte alla propria esistenza”.
“Quante lacrime”, ricorda il poeta, “quante tormentate notti per pensare. Partire, lasciare i miei sogni, abbandonare forse per sempre il mio muro di pietre, i miei grilli canterini, l’usignolo cui faceva eco il mio fischiettare; lasciare la mia casa, e le rondini che al loro ritorno non mi avrebbero più incantato con il loro garrulo via vai per ricostruire un nuovo nido; lasciare la mia luna (non ne ho più rivisto una uguale, ovunque io sia andato); lasciare lei, il mio primo più grande amore, reso ogni giorno, ogni ora più ardente dalle lacrime da noi versate per l’imminente mio distacco…”.

 

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